Articolo del 23 Giugno 2021
Da anni, l’esperienza quotidiana e l’evidenza di ricerche del settore ci raccontano di una perdurante e dilagante attitudine finanziaria che etichetta il risparmiatore italiano: investire in modo sicuro, investire in modo prudente. Un marchio di fabbrica indelebile, che ogni consulente finanziario percepisce continuamente.
Ebbene, nell’ultimo anno questa abitudine si è fatta ancora più marcata.
Secondo una recentissima survey pubblicata nelle ultime settimane (EY, maggio 2021, Global Wealth Research Report, consultabile qui: https://www.ey.com/en_gl/wealth-management-research ), l’era pandemica ha ulteriormente accentuato l’avversione al rischio con cui gli investitori allocano i propri risparmi.
Si potrebbe dire che in questi dati non c’è nulla di sorprendente, che in una fase di massimo disorientamento sociale e sanitario, prima ancora che economico e finanziario, la prudenza non può che essere il comportamento istintivo più naturale possibile.
Eppure, in questa indagine effettuata su scala globale, è in Europa che si riscontra una maggiore presenza di avversione al rischio; e, soprattutto, è in Italia che questa attitudine è ancora più lampante: ben il 52% del campione intervistato si sente finanziariamente più avverso al rischio, percentuale che addirittura arriva al 67% tra i Millennials, cioè tra coloro che hanno statisticamente l’orizzonte temporale più lungo per poter investire.
Ancora un ultimo dato, al riguardo: per il 48%, la priorità assoluta è la salvaguardia del capitale.
Premesso che ogni obiettivo finanziario, anche il più conservativo, è sempre meritevole del massimo rispetto, vale la pena fare la seguente riflessione: cosa significa investire con prudenza, oggi?
Quali comportamenti è indispensabile mettere in atto, in tal senso?
Ma soprattutto: in che modo un atteggiamento prudente si sposa con la situazione che stiamo attraversando?
Il punto fondamentale, ancora scarsamente metabolizzato, è il seguente: adottare quei comportamenti che da sempre sono sinonimo di prudenza finanziaria rappresenta oggi il più grande segno di imprudenza che si possa manifestare.
Facciamo qualche esempio.
Può essere considerato prudente il mantenimento di ingenti somme di denaro in liquidità, in un contesto che vede le banche applicare tassi negativi in molte circostanze, ed in alcune spingere addirittura per la chiusura del rapporto?
E può essere considerato prudente farlo in un momento storico nel quale l’inflazione sta uscendo dal letargo, facendo nuovamente assaporare cosa significhi erosione reale del potere di acquisto?
Può essere considerato prudente l’investimento in titoli governativi che, su scadenze medio-lunghe, offrono rendimenti nominali prossimi allo zero?
Può essere considerato prudente rivolgersi alle classiche obbligazioni bancarie, per anni porto di sicurezza degli italiani, che oggi sono quasi sparite dalla circolazione? Oppure, sempre parlando di obbligazioni, può essere considerato prudente acquistare titoli cosiddetti “high yield”, ad alto rendimento, il cui tasso reale sta ulteriormente precipitando finendo anch’esso sotto zero?
Ancora, uscendo dalla sfera strettamente finanziaria, può essere considerato prudente accentrare ricchezza immobiliare in un Paese come l’Italia, caratterizzato da una crisi demografica strutturale, popolato da sempre meno persone e per giunta sempre più anziane?
Che cosa c’è di prudente, in tutto questo?
Nulla, se solo si prova a rispondere con un pizzico di lucidità, osservando ed analizzando oggettivamente ciò che si verifica sul mercato. Eppure, se anche ciò avviene, esiste un secondo problema: l’incapacità di individuare soluzioni alternative che diano risposta a questa esigenza di salvaguardia, di sicurezza, insomma di prudenza.
È indispensabile capire che queste alternative esistono. La possibilità di ottenere la giusta e soddisfacente remunerazione per il risparmio accantonato esiste ancora, così come la possibilità di non esporsi allo stesso tempo a fattori di rischio capaci di mettere in pericolo il proprio patrimonio.
Ma questa possibilità passa, inderogabilmente, attraverso quattro avverbi di cui acquisire piena consapevolezza.
Il primo: riconsiderare DOVE investire.
Nell’ultimo decennio i rendimenti offerti dal mondo obbligazionario sono scesi a livelli mai toccati in precedenza, e lì stazionano ormai stancamente. È un fenomeno che vede maggiore persistenza in Europa, dove l’uscita dalle recessioni è sempre, storicamente, meno brillante e vivace che altrove. Se anche i tassi, come è verosimile e per molti aspetti auspicabile che sia, dovessero ripartire, è probabile lo facciano in presenza di un’inflazione crescente che dunque manterrebbe i rendimenti reali su livelli prossimi allo zero. In una simile situazione, posizionare una parte del portafoglio sulla componente azionaria è semplicemente indispensabile anche per i profili più conservativi. Nascondersi ed evitare l’equity “perché si muove troppo” è dannoso: da un lato, perché tutto si muove quando investi, di qualsiasi natura sia l’investimento; dall’altro, perché non è completamente vero. Alcuni segmenti del mercato azionario dimostrano volatilità inferiore rispetto ad altri segmenti del mercato obbligazionario. Insomma: l’assenza di tempo a disposizione è l’unico fattore che giustifica una scelta diversa. Per chi ha un orizzonte congruo, mettere un piede nel mercato azionario diversificato e globale è molto più intelligente, profittevole e addirittura prudente di quanto si riesca ad immaginare.
Il secondo: riconsiderare COME investire.
Il dove è importante, il come potrebbe esserlo addirittura di più. La potenzialità dei mercati azionari è sotto gli occhi di chiunque ne studi un po’ di storia. Tuttavia, sappiamo anche che questo valore richiede tempo e che a volte fa soffrire, perché esige di sopportare fasi di turbolenza e volatilità, esattamente quelle che l’investitore prudente vorrebbe evitare. Piuttosto che evitarle – cosa non possibile – perché non sfruttarle? Lo si può fare automaticamente, senza trucco né algoritmo magico. È sufficiente la strategia, è sufficiente l’accumulazione, è sufficiente investire in modo frazionato. Se solo si applica questo metodo disciplinato, rigoroso e ampiamente testato, da un lato si abbatte ulteriormente il rischio e si migliorano le performance; dall’altro si migliorano anche i comportamenti, perché quando si capisce il valore di questa strategia si vive in modo molto più disteso il rapporto con i mercati finanziari. Infine, c’è da considerare la funzione pedagogica della strategia, che prende per mano il risparmiatore e abitua gradualmente al concetto vero di investimento.
Il terzo: riconsiderare QUANTO investire.
Un investitore prudente non dovrebbe solo riconsiderare dove e come investire. Dovrebbe prima ancora comprendere che, per le somme inutilizzate a breve termine, non c’è alcuna alternativa all’investimento. Serve investire di più – sempre nei limiti del possibile, naturalmente – perché saranno sempre di più i bisogni e le esigenze alle quali saremo chiamati a rispondere. Non si può non vedere questa tendenza, in ogni settore della vita moderna: in futuro serviranno più soldi, e di fronte a questo bisogna farsi trovare pronti. È esattamente la prudenza ciò che dovrebbe spingere a canalizzare flussi maggiori verso lo stock di ricchezza accantonato, per far sì che questo denaro lavori nel modo giusto e produca valore al passare del tempo. Cosa c’è di più lungimirante di questo?
Il quarto: riconsiderare PERCHÉ investire.
Aver ben chiaro quali sono i motivi alla base di ciascun investimento rappresenta la base migliore per investire nel posto, nel modo e nella quantità corretta. Se prima non si ha chiaro il perché, diventa difficile rendersi conto dell’importanza del dove, del come e del quanto. È esattamente l’importanza degli obiettivi finali, infatti, che spinge le persone a mantenere e a rispettare il piano d’azione. Quanto conta costruire un capitale in grado di assicurare il meglio per il percorso di crescita di un figlio? Quanto conta fare in modo che in vecchiaia ci sia un benessere finanziario, oltre che fisico? E quanto conta riuscire a raggiungere altri piccoli, grandi sogni che sembrano irraggiungibili e che invece si rivelano molto più alla portata, se solo si rispettano poche fondamentali regole?
Concludendo: la prudenza è quell’atteggiamento contrassegnato da saggezza, lungimiranza, cautela, equilibrio.
Tutte virtù indispensabili quando si investe.
Al tempo stesso, se la prudenza viene esasperata non si rivela più tale. Diventa dogmatica, ideologica, rifiuta per partito preso qualsiasi comportamento solo perché non allineato con ciò che si è sempre fatto.
Ecco, diciamo che la prudenza – un po’ come l’avidità nel celebre discorso di Gordon Gekko – è valida, è giusta, funziona.
A patto che la si adotti con senso critico, avendo il coraggio di modificare quei comportamenti che non sono più in grado di dimostrarla.
(Fonte: Kaidan Ecomatica)